Schmidheiny condannato a Torino per omicidio colposo con 4 anni di carcere

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ETERNIT BIS: da Torino arriva la prima condanna per l’imprenditore svizzero

Il Tribunale penale di Torino ha pronunciato lo scorso 23 maggio la condanna a quattro anni di carcere per omicidio colposo a carico del magnate svizzero Stephan Schmidheiney, patron della fabbrica Eternit. E’ la prima ed importantissima condanna del processo sulle morti da amianto “Eternit bis” che – a seguito della derubricazione del reato dalla forma dolosa a colposa, è stato spacchettato in una moltitudine di processi ora pendenti nei tribunali di competenza per la varie sedi territoriali degli stabilimenti di produzione del materiale killer a base di amianto, e che ha provocato la morte di almeno 258 lavoratori e cittadini.

La condanna prevede anche la interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e la liquidazione di una provvisionale risarcitoria alle vittime, agli enti ed associazioni costituite nel giudizio.

Un primo fondamentale ed importantissimo risultato, ottenuto anche grazie all’azione e determinazione di ANMIL, commenta il legale dell’associazione Avv. Alessandra Guarini, costituitasi parte civile a Torino contro l’imprenditore svizzero ed in prima fila anche in tutti i restanti procedimenti penali “Eternit bis” a Vercelli, Reggio Emilia e Napoli; in quest’ultimo filone la Procura di Napoli ha ottenuto il rinvio a giudizio di Schmidheiney, contestando nuovamente il reato di omicidio in forma dolosa, dimostrando la consapevole accettazione del rischio per gli operai nell’ambiente lavorativo da parte del direttivo della multinazionale.

 

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ETERNIT BIS – a Napoli si procede per omicidio volontario con dolo eventuale

napoli_tribunale jpgIl GUP di Napoli dott.ssa Alessandra Ferrigno, ha confermato il rinvio a giudizio del magnate svizzero Stephan Schmydheiny per omicidio volontario con dolo eventuale, accogliendo le tesi dei sostituti procuratori Anna Frasca e Giuliana Giuliano nel filone napoletano del processo Eternit Bis, che hanno dimostrato la prosecuzione per anni delle attività produttive nella fabbrica, nonostante fosse ormai certo che l’esposizione all’amianto porti alla formazione di tumori ai polmoni.

Dopo lo stop del GUP di Torino e della Cassazione alla contestazione di omicidio volontario a carico dell’ex AD della Eternit, il reato era stato, come noto, derubricato in omicidio colposo e il procedimento penale spacchettato tra le varie procure di competenza territoriale (Torino, Vercelli, Napoli e Reggio Emilia) dei vari stabilimenti di produzione;  la Procura di Napoli, tuttavia, ha di nuovo coraggiosamente contestato al magnate svizzero il reato di omicidio volontario con dolo eventuale, e nei giorni scorsi ne ha ottenuto il rinvio a giudizio.

L’Avv. Massimiliano Gabrielli, che rappresenta l’Anmil nel processo partenopeo, ha commentato con estrema soddisfazione questa decisione: “Un ringraziamento al coraggio della Procura di Napoli per non essersi appiattita su una ipotesi accusatoria più facile; la nostra associazione dopo esser stata ammessa come parte civile all’udienza preliminare si è battuta molto per questo risultato, e proseguirà anche in dibattimento nella sua azione a tutela degli interessi diffusi dei lavoratori alla salvaguardia dell’ambiente di lavoro contro i rischi professionali, ed allo scopo di contribuire nell’affermazione del fondamentale principio di diritto per il quale, ogni volta che una azienda espone consapevolmente i propri dipendenti ad un grave rischio per la salute, si deve parlare di reati dolosi e non colposi.”

Il processo inizierà il 12 aprile 2019 davanti alla seconda sezione della Corte di Assise di Napoli, e si occuperà delle centinaia di morti per mesotelioma pleurico provocato dall’inalazione di amianto negli stabilimenti Eternit e trasmessi persino alle loro famiglie per le patologie correlate all’asbesto

Processo ETERNIT Bis – VERCELLI

CODACONS sarà parte civile nel processo penale ETERNIT Bis che si sta per avviare presso il Tribunale penale di Vercelli sulle 258 morti per mesotelioma pleurico causato dall’amianto agli ex lavoratori dello stabilimento di Casale Monferrato tra il 1989 e il 2014.

Dopo lo stop del Gup di Torino e della Cassazione alla contestazione di omicidio volontario a carico del miliardario Stephan Schmidheiny, titolare ed AD della Eternit, il reato è stato derubricato in omicidio colposo e il procedimento spacchettato tra le varie procure di competenza (Torino, Vercelli, Napoli e Reggio Emilia) dei vari stabilimenti di produzione;  la Procura di Napoli, tuttavia, ha di nuovo coraggiosamente contestato al magnate svizzero il reato di omicidio volontario con dolo eventuale, e nei giorni scorsi ne ha ottenuto il rinvio a giudizio.

L’associazione CODACONS con sedi a Biella, Vercelli e Gattinara si è attivata per prestare assistenza legale alle centinaia di famiglie coinvolte nel processo “ETERNIT Bis”, che nei prossimi mesi anche la magistratura di Vercelli avvierà, e sta raccogliendo adesioni per la costituzione di parte civile collettiva con richiesta dei danni, usufruendo collettivamente dell’assistenza di consulenti scientifici ed avvocati penalisti specializzati in processi di mass tort ed esposizione ad amianto.

ANMIL è parte civile del processo Eternit Bis a Napoli

Il giorno 16 aprile 2018 ANMIL il GUP di Napoli ha ammesso la costituzione di parte civile di ANMIL, rappresentato in aula dall’Avv. Massimiliano Gabrielli del foro di Roma, nel filone napoletano del processo Eternit Bis contro Stephan Schmidheiny (già condannato a 18 anni di carcere dalla Corte d’Appello di Torino per il disastro ambientale provocato dall’amianto negli stabilimenti Eternit in Italia e nei territori limitrofi, poi prosciolto in via definitiva per intervenuta prescrizione del reato e rimasto unico imputato nel processo Eternit-bis per l’ipotesi di reato di omicidio volontario di 258 persone tra i vari stabilimenti di produzione italiani).

Poche le parti civili private, nonostante le numerose vittime anche nello stabilimento eternit di Bagnoli, il chè è dovuto principalmente al lungo tempo trascorso dalle morti, e dalle comprensibili difficoltà per i familiari, anche da un punto di vista economico, di partecipare a questo ennesimo processo, con il rischio di fronteggiare la prescrizione dei reati che, sopratutto nel caso di contestazione di omicidio colposo, è purtroppo concreto e decisamente possibile. Proprio per questo motivo, dunque, la presenza in aula come parte processuale di enti esponenziali ed associazioni come ANMIL, rappresentano un valore importantissimo per la tutela di interessi diffusi e della collettività, ed in modo particolare – per Anmil – nel perseguire anche in sede giudiziaria l’obiettivo di aumentare la prevenzione attraverso la condanna dei responsabili di gravi violazioni nel sistema di sicurezza degli ambienti di lavoro.

Il calendario delle udienze preliminari proseguirà a maggio con la discussione delle eccezioni preliminari sollevate dalla difesa dell’unico indagato, ed in particolare sulla nullità del decreto di citazione a giudizio formulato dalla procura di Napoli per omicidio doloso, nonostante il GUP di Torino si sia già pronunciato in senso contrario riconducendo tutte le ipotesi ad omicidio colposo e provocando così lo “spacchettamento” del processo tra le varie sedi giudiziarie competenti territorialmente; secondo la difesa del patron svizzero della Eternit, in tale modo si sarebbe tuttavia determinata la preclusione per i PM partenopei nella possibilità di contestare nuovamente il reato doloso; al riguardo viceversa, il regresso della fase da udienza preliminare a quella di indagini, con nuovo avviso 415 bis cpp e nuova formulazione dei capi di imputazione da parte delle procure di “rinvio”, appare legittimare la libera interpretazione della fattispecie e dell’esercizio della azione penale da parte della accusa (in termini bivalenti, ben potendo ad esempio anche richiedere la archiviazione), possibilità che quindi non avendo consumato la fase delle indagini preliminari ma avendola rinnovata, semprerebbe propendere a favore della facoltà di diversa formulazione dei capi di imputazione, la quale in effetti è nuovamente sottoposta al vaglio del diverso giudice alla udienza preliminare, e che – se viceversa sia il PM che il giudice fossero vincolati alla decisione del precedente GUP, non avrebbe alcun senso e funzione sostanziale nel sistema di garanzia processuale.

COMUNICATO STAMPA ANMIL – Eternit in Cassazione

anmilANMIL SARÀ PRESENTE AL PROCESSO ETERNIT DOMANI IN CASSAZIONE

Roma, 12 dicembre – L’ANMIL (Associazione Nazionale fra Mutilati e Invalidi del Lavoro), già parte civile in tutti i principali processi per le vittime dell’amianto, sarà presente anche a Roma all’udienza fissata per domani mercoledì 13 dicembre, innanzi alla suprema Corte di Cassazione nella nota vicenda “Eternit” per stare a fianco della vittime e per sostenere il ricorso presentato dalla Procura della Repubblica di Torino contro la clamorosa decisione del Gup del Tribunale torinese di derubricare nel reato di omicidio colposo aggravato da colpa cosciente l’iniziale accusa di omicidio volontario. Ciò a tutto vantaggio dell’unico imputato, Stephan Schmidheiny, già scampato dalla condanna per disastro ambientale grazie alla prescrizione del reato e che, ancora una volta, potrà beneficiare di una comoda difesa tecnica.
Un provvedimento contro le vittime, gettate di nuovo nell’incubo della prescrizione, e con il quale il processo è stato oltre al resto spacchettato in ben cinque tronconi dinanzi ad altrettante Corti, dal Piemonte alla Sicilia, con restituzione degli atti alle Procure interessate e, quindi, con una sostanziale battuta d’arresto.

“Saremo in aula per contestare una decisione di abnorme gravità, o forse sarebbe più corretto dire deforme dal punto di vista giuridico – dice l’avvocato Alessandra Guarini, che con i colleghi avvocati Massimiliano Gabrielli e Cesare Bulgheroni rappresenta l’ANMIL nei processi per omicidio e lesioni personali sul lavoro – ma anche per evitare che ad uccidere la dignità delle famiglie delle vittime sia non solo l’amianto ma anche una Giustizia impalpabile e pulviscolare alla pari delle fibre killer degli stabilimenti Eternit”. 

Processo Eternit bis: il Gup di Napoli rinvia in attesa della Cassazione

Il troncone di processo Eternit bis è arrivato al Tribunale penale di Napoli dopo la derubricazione delle contestazioni – da reato volontario ad omicidio colposo, che ha determinato lo spacchettamento delle competenze territoriali rispetto ai vari stabilimenti di produzione dell’eternit, ed è stato rinviato al fine di rinnovare l’avviso della citazione a giudizio in tedesco nei confronti del miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, patron della fabbrica Eternit in Europa ed unico imputato nel processo penale sul disastro Eternit e le morti bianche negli stabilimenti di produzione, ma sopratutto in attesa che la Corte di Cassazione si pronunci tra pochi giorni (13.12.2017) sul ricorso della procura di Torino (e quello autonomo della procura generale), contro la riqualificazione dei reati da omicidio volontario/colposo decisa l’anno scorso dal GIP di Torino in una impostazione non condivisa dai PM, che invece insistono sulla presenza del dolo eventuale mei reati contestati.Noi con ANMIL e la nostra esperienza in campo di mass tort & disaster stiamo seguendo come parti civili anche questo filone processuale ed oggi 27.11.2017 eravamo in aula; aspettando la decisione della Corte di Cassazione, che con ogni probabilità lascerà immutata la contestazione colposa e quindi la competenza in capo ai vari Tribunali territoriali rispetto ai vari stabilimenti, restiamo in attesa di entrare nel vivo del processo, al fianco ed a tutela delle vittime e dei loro familiari, che possono ancora costituirsi come parte civile in questo importante filone processuale, al fine di chiedere giustizia ed ottenere il risarcimento di tutti i danni sofferti a causa della inalazione di filamenti del fibrocemento da parte dei lavoratori nello stabilimento Eternit di Bagnoli in provincia di Napoli.

PROCESSO ETERNIT – si riparte dall’omicidio colposo

img_3758La decisione del Gup di Torino, Dr.ssa Bompieri, di derubricare i reati da omicidio volontario ad omicidio colposo nel processo eternit a carico dell’imprenditore svizzero Schmidheiny, è stata commentata da più parti come una grande vittoria per la difesa del l’imputato ed una dura sconfitta per le vittime; al contrario riteniamo che solo apparentemente ciò ha reso più lontano e difficile l’obiettivo di ottenere giustizia per le parti civili. Se da un lato infatti l’accusa, almeno per il processo torinese, è stata ridimensionata e sottratta alla competenza esclusiva della Corte D’Assise di Torino, dall’altro siamo convinti che in questo modo il Processo, che andrà celebrato avanti al Tribunale monocratico competente per territorio, sarà più veloce e snello, e per le vittime sarà decisamente più facile raggiungere l’obiettivo della condanna dell’unico responsabile di questa tragedia.
Ciò per due ragioni: dimostrare la colpa cosciente con previsione sarà decisamente più agevole che dimostrare il dolo, la cui prova in giudizio resta un elemento di grande criticità, se non di vero e proprio rischio per l’esito finale del processo, ma sopratutto perché i tempi di trattazione saranno estremamente più rapidi.

Arrivare rapidamente alla condanna quantomeno di primo grado resta fondamentale, non tanto ai fini della prescrizione dei reati (che è ancora molto lontana grazie alle presumibili contestazioni di aggravanti) ma sopratutto perché in questo processo vi è un solo imputato, di età molto avanzata, ed il tempo passa anche per lui.

Fondamentale, dunque, è garantire la condanna di Stephan Schmidheiny che, pur rispondendo di omicidio colposo, ma aggravato dalla colpa cosciente con previsione dell’evento, avrà comunque una pena severa e sarà onerato (lui ed i suoi eredi) al pagamento dei risarcimenti che, pur nei limiti della giustizia terrena, costituirà una condanna che ci auguriamo sia, il quanto più possibile, vicina alle aspettative delle vittime.

D’altronde lo stesso ex PM Raffaele Guariniello ha giustamente commentato “Schmidheiny sarà processato e il procedimento va avanti. Il dolo e la colpa non è cosi determinante, conta che questi processi si continuino a fare, si possono e si devono fare. E l’ Italia continua a essere l’unico paese in cui lui viene penalmente perseguito

ETERNIT BIS – COMUNICATO STAMPA ANMIL

Il 4 novembre 2016 è ripresa l’udienza preliminare dinanzi il giudice Federica Bompieri.

I difensori di Stephan Schmidheiny, ultimo proprietario della società Eternit, poi chiusa e dichiarata fallita, e unico imputato dopo la morte del barone belga De Cartier, che con Stephan Schmidheiny era stato ritenuto colpevole del disastro ambientale provocato dalla lavorazione dell’amianto e condannato in primo grado a 16 anni di carcere, hanno sostenuto in favore del loro assistito l’insussistenza del dolo e, dunque, l’impossibilità di attribuire a titolo di omicidio volontario i casi di morte indicati nel capo di imputazione.

Per i difensori dell’imprenditore svizzero, per in quali in principalità il processo non può essere ripetuto stante il principio del c.d. “ne bis in idem” (nessuno può essere processato due volte per lo stesso fatto), al più si tratterebbe di un’ipotesi di omicidio colposo. Tesi questa che se accolta, in sede di rinvio a giudizio, condurrebbe di nuovo fatalmente alla prescrizione per molti omicidi, lasciando ancora una volta le vittime senza giustizia.

La tesi dell’omicidio colposo è suggestiva ma non convincente. Fin dal primo processo il dolo è stato l’elemento soggettivo ravvisato anche per il disastro ambientale, per il quale è stata emessa condanna, poi annullata dalla Cassazione per prescrizione.

Ora la parola passa al Pubblico Ministero, sul quale in primis grava il compito di argomentare e difendere l’impostazione accusatoria e, soprattutto, la presenza di elementi di prova idonei a sostenere l’accusa in giudizio anche nella sua componente soggettiva.

Il Giudice ha aggiornato l’udienza preliminare al 29 novembre 2016 per le annunciate repliche e, forse, per l’attesa pronuncia in merito alla richiesta di rinvio a giudizio.

       (Legale ANMIL) ​​

Avv. Alessandra Guarini ​

PROCESSO ETERNIT BIS – superato il filtro del “bis in idem” si apre la strada ai risarcimenti per le vittime e familiari

cropped-amianto_web-400x300.jpgDinanzi al Gup del Tribunale di Torino, Dr.ssa Bompieri, è ripresa l’udienza preliminare nella tormentata vicenda giudiziaria meglio nota come “Eternit bis”, dopo l’interruzione provocata dalla rimessione alla Consulta della questione di incostituzionalità dell’art. 649 c.p.p, norma che regola il principio del c.d. “ne bis in idem” cioè del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell’imputato per lo stesso fatto di reato.

 Il principio era stato invocato ad arte dai difensori del magnate svizzero, Stephan Schmidheiny, per sostenere l’improcedibilità di questo secondo processo. Come noto la questione è stata dalla Corte Costituzionale affrontata e risolta con la sentenza n. 200 del 21.7.16, una pronuncia importantissima sia per i contenuti tecnici sia per il valore che ha assunto per le vittime, tante, che hanno visto riaccendersi la speranza di ricevere giustizia dopo la terribile decisione della Corte di Cassazione di annullare le condanne e i risarcimenti per estinzione dei reati perché prescritti.

La Corte Costituzionale, nel dichiarare l’incostituzionalità parziale della norma, per contrasto con l’art. 117, 1° co., Cost., in relazione all’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU ha infatti aperto un varco a questo secondo processo, “Eternit bis”, grazie alla definizione fornita di “fatto storico”, per il quale concorrono non solo la condotta dell’imputato ma anche l’evento e il nesso causale.

In coerenza con tale principio, la Corte Costituzionale, rispondendo al Giudice rimettente (il GUP di Torino del processo Eternit) ha appunto spiegato: «sulla base della triade condotta-nesso causale-evento naturalistico, il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, assunti in una dimensione empirica, sicché non dovrebbe esservi dubbio, ad esempio, sulla diversità dei fatti, qualora da un’unica condotta scaturisca la morte o la lesione dell’integrità fisica di una persona non considerata nel precedente giudizio, e dunque un nuovo evento in senso storico».

Da questo passaggio deriva pertanto in maniera palese e non obiettabile che il bis in idem certamente non sussiste con riferimento alle 72 persone offese del procedimento Eternit bis (sulle 258 totali), che non comparivano tra le persone offese del primo procedimento, e che pertanto, quanto meno rispetto ad esse, il procedimento per omicidio volontario potrà continuare, ove il Giudice ritenga sufficienti gli elementi accusatori al vaglio preliminare rispetto all’accusa di omicidio doloso formulata in questo secondo processo.

Ma la Consulta ha lanciato un assist formidabile alla pubblica Accusa e alle tante Parti Civili per quanto riguarda la prosecuzione del processo “Eternit bis” anche rispetto alle 186 persone che già figuravano tra le persone offese per i reati di disastro doloso (art. 434 c.p.) e omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro (art 437 c.p.) contestati nel primo processo.

 Infatti, nel prosieguo della motivazione della sentenza della Consulta si legge: «Ove invece tale giudizio abbia riguardato anche quella persona occorrerà accertare se la morte o la lesione siano già state specificamente considerate, unitamente al nesso di causalità con la condotta dell’imputato, cioè se il fatto già giudicato sia nei suoi elementi materiali realmente il medesimo, anche se diversamente qualificato per il titolo, per il grado e per le circostanze».

Ed è questo il cuneo su cui oggi Procura e Parti Civili hanno fatto leva per sostenere l’accusa in giudizio anche in relazione alle vittime di cui già si era tenuto conto nel primo processo, nel quale si era proceduto contro l’imprenditore svizzero rimasto poi l’unico imputato, dopo la morte a 92 anni del barone belga Louis De Cartier.

Mentre, infatti, nel primo processo – su cui si è formato il giudicato – è stata accertata la causalità generale rispetto a un macro evento collettivo, in questo nuovo processo verranno accertati per la prima volta i micro eventi, ovvero le singole morti.

Finalmente il cuore del processo sarà costituito dalla verifica per ogni vittima della causa della morte e della sussistenza del nesso causale rispetto alla dolosa esposizione all’amianto di Eternit.

Dunque e finalmente, di loro ci si occuperà per la prima volta: delle 258 vittime uccise dall’amianto cui sono state dolosamente esposte!

Di diverso avviso i difensori dell’imputato, che hanno ancora una volta invocato il principio del ne bis in idem, sostenendo come non sia vincolante per il Giudice la Sentenza della Consulta.

Sarà ancora lunga la discussione, che occuperà almeno ancora l’udienza del 4 novembre prossimo.

Insomma una storia travagliata quella vittime di “Eternit”, che per sommi capi vale la pena ripercorrere affinché ne resti la memoria. “Eternit” è un marchio registrato di fibrocemento: un materiale usato in edilizia soprattutto per vasche, tegole, tettoie. Il materiale era realizzato facendo – purtroppo – uso di amianto. Il brevetto, risalente al 1901, venne acquistato due anni dopo dall’azienda svizzera Schweizerische Eternitwerke AG, che circa nel 1920 cambiò il suo nome in Eternit. Poco dopo iniziò ad aprire anche in Italia diversi stabilimenti: la prima fabbrica venne aperta a Casale Monferrato (Alessandria), altre poi a Cavagnolo (Torino), a Broni (Pavia) e a Bari. Nel 1933 “Eternit” passò alla famiglia di imprenditori svizzeri Schmidheiny, che nel 1973 divenne responsabile anche degli stabilimenti italiani affiancata dall’ imprenditore belga De Cartier. Dopo anni di attività nel 1986 sopraggiunse, praticamente per tutte le aziende italiane, il fallimento.

Ma quegli di attività segnarono per sempre le vite di molte persone e di molte comunità. Le vittime della contaminazione furono e sono migliaia.

Per loro, per i loro famigliari e per la salute di tutti i lavoratori saremo in aula a chiedere Giustizia.

(Legale ANMIL)

Avv. Alessandra Guarini

Sentenza storica su amianto: condannato De Benedetti

PROCESSO OLIVETTI: il tribunale di Ivrea, con una sentenza che possiamo davvero definire storica, contro alcuni personaggi di primissimo piano nel mondo della alta finanza ed imprenditoria nazionale, ha affermato la sussistenza della responsabilità penale dei vertici societari della Olivetti, dei suoi direttori e dei dirigenti preposti ai controlli ed al rispetto delle normative anti-infortuni e di prevenzione delle malattie professionali. Sono stati condannati in primo luogo Carlo De Benedetti e Franco De Benedetti alla pena di 5 anni e due mesi di reclusione e Roberto Passera ad 1 anno e 10 mesi di reclusione, ma praticamente tutti gli imputati appartenenti ai vertici societari di Olivetti.

E noi c’eravamo … Ancora una volta in più dalla parte delle vittime dei reati posti in essere non rispettando le normative imposte ai datori di lavoro per evitare che i lavoratori si ammalino e muoiano solo per le solite politiche economiche tese al risparmio sulla pelle dei lavoratori.

Stiamo parlando delle esposizioni all’amianto negli stabilimenti della Olivetti nel comprensorio di Ivrea negli anni ’70 ’80 e ’90 che hanno causato la morte di dieci dipendenti tutti ammalatisi di mesotelioma pleurico e, dunque, considerata la causa dell’insorgenza della malattia da individuarsi appunto nella esposizione alle fibre di asbesto, necessariamente ad esso esposti. Come ha osservato il PM questo non è stato il processo all’Olivetti, ma all’Olivetti degli anni 70 80 e 90, che dall’Olivetti del fondatore si era ormai del tutto discostata.

Innanzitutto è stato provato che l’asbesto si trovava nel talco che si usava nella produzione di macchine da scrivere (i lavoratori facevano autonomamente pulizia del banco di lavoro), nella produzione dei cavi elettrici, nel montaggio dei componenti elettrici delle calcolatrici. É emerso che già nel 1981 uno dei dirigenti aveva chiesto all’università di Torino di analizzare il talco se contenesse amianto poiché qualche stabilimento già lo sospettava. Tale richiesta risultava eccezionale perchè risultava che in Olivetti nel 1981 non c’era alcun monitoraggio benché già si parlasse di amianto. E nel febbraio 1981 l’analisi confermava la presenza di tremolite, cioè di amianto e si raccomandava di non disperderlo nell’aria.

Dal 16.2.1981 dunque all’Olivetti già sapevano della presenza dell’amianto nel talco e ciononostante continuavano ad acquistarlo! Peraltro anche prima si sapeva che i lavoratori erano esposti all’amianto. Veniva infatti disposta la visita medica periodica sui lavoratori esposti all’amianto dal 1977: nel caso si fossero rilevati problemi i lavoratori venivano solo spostati di reparto. Nessuna misura di prevenzione riguardo all’inalazione delle polveri veniva disposta – e gli impianti di aspirazione erano comunque obbligatori perché devono predisporsi per le lavorazioni polverose – nemmeno nessuna misura di prevenzione personale come l’obbligo di usare mascherine (per l’amianto sono diverse ma non ce n’erano del tutto). Gli organi di vigilanza proprio questo dovevano fare e non l’hanno fatto. La tardività del rilievo dell’uso dell’amianto nel talco è stato solo un esempio delle colpe rilevatesi.

Eppure già dagli anni ’70 si parlava della possibilità che il talco contenesse amianto ma niente veniva fatto al riguardo. Nessuna aspirazione delle polveri benché fosse nota da sempre la pericolosità di esso anche solo per l’asbestosi (già la legge 455/1943 catalogava l’asbestosi come malattia professionale). Dopo il 16.2.1981, dopo cioè la certezza tramite una specifica ricerca scientifica di presenza dell’amianto nel talco, cosa ha fatto Olivetti al riguardo? Si pensava avessero cambiato il talco ma così non è stato. Solo dal 1986 i vertici disposero lo stop, finalmente, benché, si ripete, la presenza della tremolite fosse nota dal 1981.

Ciò è espressione della sottovalutazione del problema amianto, e nondimeno altro amianto è rimasto presente negli stabilimenti Olivetti ancora negli anni ’90 come amianto strutturale. L’amianto strutturale in azienda era un fatto noto ai vertici della Olivetti la presenza di esso in azienda. Le pannellature in azienda erano in amianto al 60% e si venne a saperlo grazie a un’indagine richiesta dai lavoratori di seguito alla circolare del Miistero della Sanità del 1986 al riguardo della pericolosità dell’uso dell’amianto anche nelle pennellature. L’amianto strutturale è il più insidioso per il lavoratore ed è responsabilità dei datori di lavoro prevenire l’esposizione e fu tolto solo quando non fu più possibile procrastinarne la sostituzione. Veniva poi utilizzato un componente dei pannelli delle macchine utensili, il Ferobestos: l’amianto veniva applicato in pannelli alle macchine utensili per facilitarne lo scorrimento. Il Ferobestos era formato al 60% di amianto e di resina al 40%. Solo dal 1981 in poi veniva sostituito da altro materiale non contenente amianto ma la scheda di pericolosità risale al 1973 e ciononostante nessuna prevenzione sulla aspirazione delle polveri e nemmeno nessuna informazione sulla pericolosità veniva fatta ai lavoratori in violazione anche alla 303/1956!

Addirittura l’amianto era utilizzato nei dispositivi di protezione individuali: un dipendente con la mansione di addetto ai trattamenti termici, usava dispositivi di protezione in amianto. Per i trattamenti termici erano in dotazione grembiule e guanti in amianto. Sono risultati agli atti documenti di acquisto dei materiali contenenti amianto dalle varie ditte fornitrici (Nuova Capamianto). In tutte le lavorazioni termiche si usavano tessuti di amianto che si usuravano e perdevano fibre suscitando polverosità.

Sarebbe stato possibile fornire i lavoratori di semplici mascherine, ma mai fu proposto l’uso di materiali senza amianto e di mascherine. Le fibre di amianto NON sono degradabili e l’esposizione indiretta dei lavoratori alle fibre, sopratutto per la presenza di amianto strutturale, disperse negli ambienti pur bonificati, persiste per molto tempo.

Al riguardo è emerso che le bonifiche vere e proprie si sono sviluppate nel corso di un ventennio e sono ancora in corso tuttora. Si sono registrati ritardi nelle bonifiche fatte e solo su sollecitazione dei sindacati e solo in occasione delle ristrutturazioni! E il capannone sud addirittura ancora non è stato bonificato!!! I cunicoli dello stabilimento San Bernardo dove erano presenti i fasci tubieri ricoperti di amianto non sono mai stati fatti oggetto di monitoraggio fino al 1996 benché si sapesse la presenza di amianto e il passaggio di lavoratori! L’analisi documentale anche dei monitoraggi sono stati tutti effettuati a bocce ferme, post bonifiche, e non sulla situazione come era effettivamente. E si vedono 116 kg di cartone amianto acquistato ancora a luglio 1984 nonostante la conoscenza della pericolosità del materiale.

Insomma il processo ha provato non solo l’utilizzo dell’amianto nelle lavorazioni ed in azienda ma anche la conoscenza della presenza di esso da parte dell’amministrazione della società ed ecco perchè si è giunti alle condanne severe così irrogate anche e sopratutto a De Benedetti e Passera, tra gli altri, senza fare sconti a nessuno.

Noi, costituiti in questo processo penale come parte civile per ANMIL, abbiamo fatto la nostra parte e, con i Colleghi Alessandra Guarini e Massimiliano Gabrielli, la faremo ancora nei processi che si stanno avviando ora a Milano per le esposizioni all’amianto dei lavoratori dell’ATM, Azienda Trasporti Milanese, e per i dipendenti del teatro alla Scala.

Cesare G. Bulgheroni, avvocato in Milano